Esattamente un anno fa si era avviato il progetto di ricerca intitolato “I vissuti dei lavoratori fragili al tempo del Covid-19” – che è stato realizzato grazie al sostegno scientifico e metodologico del “Laboratorio sulle Disuguaglianze” e del “Dipartimento di Scienze sociali, politiche e cognitive” dell’Università di Siena.

In particolare il progetto di ricerca è stato curato nello specifico dai professori Fabio Berti, Andrea Bilotti, Chiara Davoli, Andrea Valzania, con la collaborazione di Giovanni Iozzi, della Coop. Soc. Arcobaleno. Un’idea partita proprio da una considerazione che alcuni cooperatori sociali aderenti alla “Rete 14 luglio”,  hanno fatto all’inizio del lockdown  – nel marzo  2020 – quando si sono chiesti come poter fare la propria parte nel corso dell’emergenza sanitaria, a sostegno di tutti lavoratori e in particolare per quelli più fragili, che sono appunto quelli  inseriti nell’organico delle cooperative sociali. Sono state proprio queste realtà, operanti  in diverse regioni italiane, che hanno ininterrottamente continuato ad erogare i propri servizi non abbandonando le persone e confermando ancora una volta quelle che sono le loro caratteristiche genetiche e una mission sociale ed imprenditoriale che le vede impegnate ad occupare le persone più fragili della società.

“I vissuti dei lavoratori fragili al tempo del Covid-19”, infatti è un importante lavoro di ricerca ed analisi nel quale si è voluto studiare l’emergenza dovuta alla solitudine, la reclusione domestica e le tante incertezza di prospettive, che nel periodo di reclusione ha messo in ginocchio tanti lavoratori. Il Covid-19 ha costretto una parte di loro a restare a casa in una condizione che molti considerano peggiore ancora della reclusione carceraria, da diversi pure sperimentata. Solitamente si tratta di lavoratori in condizioni di fragilità dovuta a motivi di salute preesistenti o per necessità di lavoro,  condizioni che generano motivi di ansietà aggravata da una forzata solitudine. Si tratta quasi sempre di persone assunte ed occupate con la L. 381/91.

La ricerca propone i risultati emersi dall’analisi di 230 questionari somministrati ai lavoratori fragili di dodici cooperative sociali che hanno aderito al progetto di ricerca-azione, messi in relazione con 130 questionari somministrati ad un “gruppo di controllo”, ovvero a lavoratori con contratto a tempo indeterminato della PA, di grandi aziende e professionisti affermati. La Formica – da sempre interessata a questo tipo di dinamiche sociali – era fra le 12 realtà che hanno aderito al progetto.

Il campione, contattato con un indagine telefonica anonima,  ha permesso di raccogliere informazioni ed esplorare i loro stati d’animo, le preoccupazioni, le paure e gli atteggiamenti la vulnerabilità sociale.  Indicazioni raccolte da una figura di intermediazione identificata nel tutor degli inserimenti lavorativi o nella persona che si occupa della gestione delle risorse umane nella cooperativa, in virtù del rapporto privilegiato di fiducia e vicinanza maturato. Un ruolo che per La Formica è stato svolto dalla psicologa Giulia Bertozzi.

Il risultato raggiunto ha dimostrato come la stragrande maggioranza dei lavoratori, al di là della specifica condizione del proprio svantaggio, ha sofferto un forte stato ansiogeno e di preoccupazione per l’interruzione della propria attività lavorativa che assume per queste persone un valore identitario elevato.  Il ruolo delle famiglie è emerso come fondamentale in quanto, in qualche modo, ha compensato la mancanza dell’ambito lavorarivo. In questo senso le categorie che hanno sofferto di più  a causa di un clima teso e conflittuale – che ha prodotto stati di ansia e paura maggiori – sono state soprattutto le coppie con figli. Un ruolo importante è stato inoltre svolto dalla stessa cooperativa, che occupa nell’immaginario degli intervistati un posto di assoluta centralità, come una sorta di seconda famiglia, ruolo evidenziato ancora di più dal momento di difficoltà vissuto e dalla vicinanza che colleghi e soci hanno fatto sentire ai lavoratori.

“La pandemia, d’altronde, come è emerso anche dalla nostra indagine – si legge nel saggio conclusivo dei professori Fabio Berti, Andrea Bilotti, Andrea Valzania – ha aumentato la forbice delle disuguaglianze, incidendo non poco nel determinare un peggioramento di coloro che si trovavano nelle condizioni più svantaggiate nel momento del lockdown. Il confronto con i cosiddetti lavoratori “forti” mostra infatti, platealmente, una radicale differenza di esposizione al rischio tra i due gruppi e una altrettanto netta differenza di percezione del rischio. I lavoratori “forti”, anche per il loro capitale culturale e relazionale, sembrano risentire soprattutto la cesura con la normalità della propria vita quotidiana garantita dalle routines, dai consumi, dalla socialità extra-lavorativa; i lavoratori “fragili”, al contrario, sembrano risentire maggiormente della cesura con il mondo del lavoro, che garantisce loro quella normalità e sicurezza che per l’altro gruppo invece si ritrova per lo più nella sfera del loisir e del tempo libero.”

                                                                                                                                         e.v.